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30 settembre 2015 21:53 — 0 Commenti

Quei vettesi che al concerto di Ligabue non si riconoscono… Le due #Vetto d’Italia

 

E’ andata così anche di recente. Mentre sul palco del Campovolo, al concertone di qualche del 19 settembre, nell’attesa che Liga cantasse “Certe notti” alcune persone erano sedute vicine. “Di dove siete voi?” chiedono le une (di Vetto) insospettite dal sentire nominare “di Vetto (d’Enza)” dalle altre. “Anche noi di Vetto, ma non ci torna l’accento e non ci siamo mai visti prima”.

Equivoci possibili se si pensa che di luoghi che si chiamano con questo nome così strano e dall’etimologia incerta, appunto “Vetto”, in Italia, ce ne sono soltanto due. Uno è quello capoluogo sulle rive dell’Enza. L’altro è uno dei borghi che costituisce il comune di Lanzada, in Valmalenca, provincia di Sondrio.

Questa volta, dopo la prima missione del giugno scorso quando nel reggiano scesero i vettesi di Lanzada, a salire e scoprire il paese omonimo sono stati ventidue vettesi d’Enza capitanati dal sindaco Fabio Ruffini e dal vicesindaco Aronne Ruffini. Ad accoglierli i tipi, encomiabili e infaticabili, della Sagra di Vetto. Proprio coloro i quali si erano attivati per ottenere questo patto di amicizia tra Alpi e Appennini. Siamo in un luogo mozzafiato, aspro, dove le Alpi salgono dagli 800 agli oltre 3000 metri e ti capita di restare senza fiato sotto sole e nuvole che corrono su camosci e stambecchi.

Accolti ufficialmente, anche, in municipio a Landada dal sindaco Marco Negrini con un prezioso omaggio in pietra locale. Nelle sue parole la presentazione del territorio: dove l’economia è fatta anche di imponenti centrali idroelettriche che rendono risorse al territorio dopo un annoso contenzioso con Enel, di cave di Serpentino, la pietra locale, di talco (una delle più grandi al mondo) e, un tempo di amianto. Ma è anche la terra del Casera e del Bitto, dove sopravvivono gli ultimi alpeggi. Roba che, se incontri Luigi Bontempi e sali sul suo fuoristrada, puoi proprio salire dove si tocca il cielo con un dito e puoi ammirare le case degli agricoltori, ora riconvertite a seconde case. Proprio queste ultime sono risorsa e problematica, spiegano da queste parti, dato che regalano paesi affollatissimi d’estate e vuoti per il resto dell’anno. E’ il caso di Vetto di Lanzada, ora fatto di tante case vuote che, nel 1940, nella piccola piazzetta vedeva nascere ben otto bambini, mentre ora è deserta se non quando si rianima con una riuscitissima Sagra gastronomica nata in seno alla parrocchia. Lo sci, da queste parti, lascia poco: è un mordi e fuggi.

“Il padre di Rino Masa, il primo che ci ha contattati – ha rievocato Fabio Ruffini, sindaco dell’altra Vetto a suo agio nella sala consiliare di Lanzada – ricevette erroneamente una cartolina col timbro delle nostre poste. Avrebbe voluto scoprire la nostra terra. Lo ha fatto suo figlio assieme ai membri della popolare sagra di Vetto di Lanzada. Ne è nata una bellissima amicizia che è così giunta alla sua seconda tappa. Abbiamo unito idealmente Alpi e Appennini con l’intento di creare una piccola sinergia di buone pratiche. Ecco perché oggi siamo saliti con gli esponenti anche della nostra Pro Loco, dalla Protezione Civile, dagli Alpini e della Croce Verde. In momenti di crisi del valore possono davvero giungere risposte inaspettate da questo ‘amore’ tra le montagne”. Ai vettesi di lassù in omaggio il gonfalone, Parmigiano Reggiano, apprezzatissimo alla cena seguente, il film uscito lo stesso giorno “In Morte di Matilde di Canossa. Onore e vanto d’Italia” con la regia di Ubaldo Montruccoli e produzione Conva – Madonna della Corte, e non ultima una serata singolare animata da un sorprendente Paolo Tosi, presidente dell’Associazione Alpini di Vetto, in veste di dj.

“Toccante e encomiabile l’impegno dei tipi della Sagra di Vetto” hanno commentato sul viaggio di ritorno i vettesi. Grazie al loro impegno, infatti, è stato possibile scoprire i vini della Valtellina, ammirare le viuzze e la storia del paese gemello, essere accolti alla festa di Paese in parrocchia per la Sagra di Vetto capitanata da un infaticabile Luigi Parolini e dal lavoro di tanti volontari e signore di tutte le età. Ma anche scoprire il fascino dei minerali nel locale museo e restare a bocca aperta nel scendere sotto terra, guidati dal vicesindaco Serafino Bardea, a visitare la centrale idroelettrica che funziona tra le dighe di Campo Moro e Alpe Gera, quest’ultima capace di contenere per altezza il duomo di Milano e dirimpetto a un ghiacciaio che va inesorabilmente sciogliendosi. A concludere pranzo con pizzoccheri in rifugio con tanto di brindisi. Per siglare un impegno: da amici a gemelli, da Vetto a Vetto, perché il fascino delle montagne non conosce confini.

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Gabriele Arlotti ha scritto 2965 articoli per Studio Arlotti

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